Zoismo

Gli Yanomami e altri popoli cacciatori, raccoglitori e orticoltori sono chiamati zoisti (dal greco zoè, vita), perché credono che forze vitali dell'universo facciano da mediazione tra lo spirituale e il materiale, tra il visibile e l'invisibile. Anticamente questi popoli erano definiti animisti. Salute, malattia, morte hanno origine e trovano spiegazione in forze vitali, rappresentate soprattutto da animali. 

Gli Yanomami riconoscono nelle esperienze magiche dei loro riti e nelle azioni simboliche dei loro sciamani, la ripetizione e la realizzazione di eventi antichi, di modelli ai quali conformano la loro azione e la loro esistenza. 

Per gli Yanomami il sacro non è né una persona, né nozione, né religione.  È una presenza, un'esperienza, un'azione.

Nella cosmo-visione yanomami non esiste né colpa né inferno, perché non esiste né peccato né castigo. Non c'è bisogno di un redentore, perché non c'è nessuna colpa da espiare. Tutti coloro che muoiono, anche i peggiori nemici, dopo che i riti funebri sono terminati, emigrano al villaggio del secondo livello del cosmo yanomami. Questo secondo livello, dove "vivono" i morti (hutumosi) è un'immagine riflessa della vita sulla terra con foreste, montagne, animali, villaggi e coltivazioni. La "vita" nell'hutumosi imita la vita sulla terra: i morti cacciano, raccolgono frutta selvatica, accudiscono le coltivazioni, generano figli, fanno sciamanesimi, ecc.

La cosmo-visione yanomami sembra una metafisica platonica invertita. Nell'allegoria della caverna, esposta da Platone nella "Repubblica VII", l'ascensione alla luce della verità avviene a partire dalla oscurità ingannatrice della caverna (la realtà). Per gli Yanomami, la luminosità della vita sulla terra si riflette nell'opacità della "vita nell'hutumosi (il secondo livello)[1].

 

  1. ^ G. Damioli, G. Saffirio, Yanomami. Indios dell’Amazzonia, Edizioni Il capitello, p. 36-37.